Fra orti, giardini e ulivi regolati dall’arte amabile del potare, si snodano sui colli vie così in pace che sembrano dimenticate, dove si procede fra meravigliose scoperte di cose sempre uguali e sempre impreviste.

(Bino Samminiatelli sul Chianti)

L’associazione di idee Italia-buon cibo, per quanto stereotipata, è innegabilmente vera, specialmente per gli stranieri. Lo stesso discorso è valido per il vino. E qual è la regione italiana più famosa nel mondo, enologicamente parlando? Senza dubbio la Toscana.

Il nostro Paese viene costantemente dipinto, citato, raccontato, recitato e preso come esempio di eccellenza vinicola in ogni ambito. In particolare i vini della Toscana, sono diventati il simbolo di un’Italia che fa malcelato vanto della qualità della propria terra, che sfoggia senza pudore le rotondità delle sue colline coperte dagli iconici filari delle vigne intervallati dagli ulivi.

Ogni area vitata della Toscana vanta almeno un prodotto che è diventato sinonimo di vino. Sembra non esista un metro quadro del territorio che non sia in grado di produrre vini pregiati: Chianti, Sangiovese, Brunello, Montepulciano, Morellino, Bolgheri, Vernaccia Vermentino… C’è solo l’imbarazzo della scelta.

Chianti: il vino del gallo nero

Il gioco dell’associazione di idee trova terreno fertile anche e soprattutto nel caso di questo vino: quasi sempre l’immaginario collettivo collega il classico fiasco di vimini al “fiasco di Chianti”, il vino toscano per eccellenza, anch’esso un simbolo, non solo del prodotto stesso ma di uno stile di vita. Il fiasco di vimini è appeso ai soffitti delle osterie, dove si passa (o si dovrebbe passare) del tempo felice spensierato. È sulla tavola di un convivio, dove si conversa amabilmente, gustando i semplici prodotti della terra mentre fuori il sole rosso cala, nascondendosi tra due dolci colline.

Immagini. Un’iconografia indissolubilmente legata a un prodotto le cui caratteristiche organolettiche sembrano lo specchio del vino così come tutto il mondo lo immagina: rosso rubino vivace che si scurisce con l’invecchiamento, tendendo al granato. Un sapore vinoso, armonioso e un po’ tannico, da gustare da solo se giovane (per essere Chianti deve invecchiare almeno tre mesi) o con carni e formaggi importanti quando invecchiato.

Prodotto quasi esclusivamente con uve Sangiovese, ammette diversi vitigni complementari che però non possono superare il 10-15% del totale e viene prodotto nelle province di Arezzo, Firenze, Pisa, Pistoia, Prato e Siena. Il Chianti e il Chianti Classico si diversificano tra loro per caratteristiche organolettiche, ma solo nel 1997 sono stati distinti con due diverse denominazioni di origine controllata e garantita. Il vino prodotto nella zona del Chianti Classico è disciplinato e tutelato dal Consorzio del Vino Chianti Classico, nato nel 1987 e che ha come simbolo l’ormai celebre gallo nero, già impiegato della Lega del Chianti, l’alleanza politico-militare creata dalla Repubblica di Firenze nel 1384 con l’obiettivo di difendere il territorio del Chianti.

Singolare è la leggenda che circonda la scelta di questo simbolo: in epoca medievale, le Repubbliche di Firenze e Siena erano in costante conflitto. Per porre fine una volta per tutte alle contese territoriali della zona che separava le due città, venne deciso che due cavalieri sarebbero partiti ognuno dal rispettivo capoluogo al canto del gallo: il confine della proprietà sarebbe stato determinato dal punto di incontro dei due cavalieri. I senesi optarono per un gallo bianco mentre i fiorentini scelsero un gallo nero, che però tennero al buio per diversi giorni prima dell’evento. Il giorno stabilito, il gallo nero, liberato dopo giorni di “prigionia”, iniziò subito a cantare anche se l’alba non era ancora spuntata, permettendo al cavaliere fiorentino di partire con largo anticipo e guadagnare molto più terreno per conto della sua Repubblica.

Montalcino: rosso e brunello

Se i vini della Toscana sono il simbolo enologico dell’Italia all’estero, il Brunello è senz’altro il vino italiano più famoso nel mondo. A parlare sono i numeri: ogni anno, circa il 70% della produzione totale di questo vino viene destinata al mercato estero. Negli ultimi cinque anni, il giro d’affari del vino di Montalcino è aumentato fino a raggiungere quasi i 200 milioni di euro, principalmente grazie al Brunello.

Il Brunello nasce nel periodo dell’unità d’Italia, prodotto con un’uva chiamata Brunello, successivamente identificata come una varietà di Sangiovese. Nella seconda metà dell’800 si inizia a vinificare il Brunello in purezza e farlo maturare in botte, ottenendo risultati eccellenti. Un vino rosso invecchiato quattro o cinque anni era, ai tempi, qualcosa di impensabile in Italia, una prerogativa che sembrava appartenere unicamente ai vini francesi più prestigiosi.

Il merito va a un farmacista, Clemente Santi, appassionato enologo che guida letteralmente la carica di una nuova generazione di produttori. Ecco che un piccolo comune arroccato sulla parete di una collina, 50 chilometri a sud di Siena e che oggi conta 6.000 anime, comincia a diventare un gigante in campo enologico: nei primi anni del ‘900 iniziano le spedizioni all’estero e il Brunello passa dall’essere un privilegio per pochi a un’eccellenza italiana nel mondo.

Diventa DOC nel 1966 e l’anno successivo nasce il consorzio che tutt’oggi lo tutela e regolamenta, ma la produzione è però ancora troppo scarsa perché questo vino possa affermarsi in tutto il mondo. Bisognerà attendere gli anni ’70 per vedere la nascita della prima rete commerciale strutturata, e il 1980 per ricevere la denominazione DOCG. In questo stesso periodo inizia a svilupparsi l’embrione di quello che diverrà il turismo enologico, con l’apertura delle cantine ai curiosi più appassionati.

Ma cosa rende questo vino così speciale? Innanzitutto è doverosa una distinzione, quella cioè tra Brunello e Rosso di Montalcino. Il territorio del comune di Montalcino, iscritto all’UNESCO come patrimonio dell’umanità, è un comprensorio di 24.000 ettari dei quali il 15% occupato da filari di vigne, una terra così ricca e votata alla qualità enologica che, per la prima volta in Italia, è stato concesso di produrre due vini a denominazione di origine controllata dagli stessi vigneti: il Rosso di Montalcino, vino giovane, fresco, di pronta beva, e il Brunello, destinato all’invecchiamento. Per avere un’idea della proporzione, bisogna considerare che oggi si producono circa sette milioni di bottiglie di Brunello e tre e mezzo di Rosso di Montalcino.

Essere Brunello non è facile. Prodotto esclusivamente con uva Sangiovese, per meritare un tale nome deve rispondere ad un durissimo disciplinare che prevede, oltre ad una ristretta resa massima per ettaro che ne preserva la qualità, un periodo di affinamento di almeno due anni in botti di rovere e quattro mesi in bottiglia. Ma anche dopo tale periodo, per essere messo in commercio con il suo prestigioso nome, il Brunello deve attendere l’1 gennaio dell’anno successivo al termine di cinque anni calcolati considerando l’annata della vendemmia.

Questo lungo periodo di tempo è necessario perché questo vino esprima al massimo le sue incredibili caratteristiche: limpido e brillante all’occhio, è di colore granato vivace e ha un profumo intenso che ricorda il sottobosco e il legno, con un leggero sentore di vaniglia. È un vino di nerbo, asciutto, robusto e persistente. Queste e molte, moltissime altre sono le caratteristiche che contraddistinguono il Brunello, anche se è sul lungo invecchiamento che questo vino esplode letteralmente, stregando i connoisseur di tutto il mondo. Grazie alle sue caratteristiche, è in grado di invecchiare benissimo, migliorando nel corso di 10, 20, 30 anni e anche di più.

Secondo alcuni, il sapore del Brunello è quello che dovrebbe avere IL vino. Che ci si trovi d’accordo o meno con questa affermazione, resta innegabile il messaggio di qualità che questo prodotto ci consente di inviare in tutto il mondo.

Vermentino: il vino nomade

Restiamo sulle associazioni. Quando si dice Vermentino, la mente corre irrimediabilmente alla Sardegna; una nicchia potrebbe pensare prima alla Liguria, ma è raro che si associ la Toscana a questo vitigno. Eppure, i viaggi di questo vitigno l’hanno portato anche sulle coste della Versilia: nelle provincie di Livorno e Massa Carrara vengono prodotti infatti il Bolgheri bianco e il Candia dei Colli Apuani, rispettivamente.

Come ha fatto questa vite ad arrivare in Toscana?La sua sembra una vera e propria avventura: l’ipotesi più accreditata è che l’origine risalga alla Spagna, da dove ha poi raggiunto la Francia, scendendo quindi verso la Liguria e la Toscana, giungendo quindi in Corsica (dove rappresenta la maggiore coltivazione dell’isola) e infine in Sardegna. Secondo un’altra corrente di pensiero invece, il Vermentino nasce in Liguria per poi diffondersi nelle altre regioni citate, ma in senso inverso. In tempi recenti, il Vermentino corso è stato trapiantato nella Maremma toscana, dove ha attecchito in maniera superba grazie al terreno sassoso, arido e ricco di minerali, alla luce, al sole e alla vicinanza del Mar Tirreno con la sua brezza salmastra.

Ciò che di sicuro c’è sono le caratteristiche che accomunano questo vino bianco: solare e giallo paglierino, al naso si presenta gradevole e leggermente aromatico. Al gusto è sapido, minerale con una piacevole punta finale di amaro, tipica del Vermentino, un vino decisamente maschio. Sulla tavola accompagna bene piatti non troppo elaborati ma ricchi di sapore, come formaggi freschi e salumi leggeri, risotti e carni bianche, ma anche molluschi, crostacei e pesce arrosto.

Vi abbiamo raccontato solo alcune delle eccellenze che la Toscana offre in termini enologici. Molti altri vini e vigneti godono di altrettanta fama per le loro incredibili qualità e proprio per questo dedicheremo ad essi un altro approfondimento.

Scopri i vini della Toscana nel nostro catalogo:

Frescobaldi

  • Castello di Nipozzano
  • Castello di Pomino
  • Castelgiocondo
  • Tenuta Luce della Vite
  • Tenuta dell’Ammiraglia
  • Tenuta di Perano
  • Tenuta Castiglioni

Ornellaia

Masseto

Terenzi

Tenuta di Biserno