Se dovessimo scegliere una regione italiana che rappresenti il risorgimento enologico di alcuni vini italiani, sarebbe senz’altro la Puglia. In un impeto di pathos letterario la potremmo definirla paladina degli incompresi, tanti sono i vini pugliesi che negli ultimi 20 anni è riuscita a rivalutare. Ma come si è arrivati a questo punto? Perché una regione che possiede tutti gli elementi necessari a fare dell’ottimo vino (clima, terreno e passione) è stata considerata per anni il simbolo di un’enologia “povera”?

Le origini dei vini pugliesi

Partiamo dal principio. In Puglia la viticoltura ha origini antichissime, che risalgono a prima del 2000 a.C., ma è con l’arrivo dei fenici che vengono introdotti nuovi vitigni e tecniche produttive. La successiva colonizzazione da parte dei greci, nel VIII secolo a.C., permette un’ulteriore espansione che resisterà fin dopo la dominazione dell’Impero Romano. Fu grazie a Federico II che vennero piantate migliaia di viti, importate a Castel del Monte dalla Campania, le quali diedero inizio a una massiccia produzione di vino in termini quantitativi.

Durante il Rinascimento, i vini pugliesi cominciarono a diffondersi in Italia e in Francia grazie appunto alle enormi quantità prodotte, a discapito purtroppo della qualità. Una sorta di rivalsa la si ebbe quando la fillossera colpì la Francia e successivamente il resto d’Europa: improvvisamente, la Puglia diventò il centro del mondo, punto di riferimento per i commercianti europei, soprattutto francesi, che qui iniziarono ad acquistare ingenti quantitativi di vino con cui supplire alle richieste locali.

Infine la fillossera arrivò anche in Puglia, arrestando la produzione di vino che, una volta debellato il parassita, riprese senza alcun criterio, puntando ancora una volta sulla quantità e concentrata sui vini da taglio, destinati ad alzare il tenore alcolico di prodotti più blasonati provenienti dal Nord. È stato solo in tempi relativamente recenti, intorno al 1990, che il lavoro di generazioni e generazioni di enologi ha ricevuto il giusto riconoscimento. La presa di coscienza delle potenzialità enologiche da parte dei produttori locali e lo sviluppo tecnologico hanno permesso di contare oggi ben 26 vini pugliesi DOC. E ce n’è per tutti: dai bianchi profumati ai rossi robusti, dalle bollicine ai rosati più freschi, passando per alcune vellutate eccellenze da meditazione.

Il Negroamaro e il Primitivo di Manduria

Inutile negare che la carica di questa rivincita enologica sia stata capitanata dai due grandi vini pugliesi rossi ormai simbolo di questa regione: il Negroamaro e il Primitivo.

Il Primitivo di Manduria è un DOC che si produce nella provincia di Taranto, nella zona della cittadina di cui porta il nome. È un rosso dai colori intensi, quasi violacei, che tendono al granato con l’invecchiamento. Al naso si presenta ricco, con tutta la gamma di sentori dei frutti rossi, dalla ciliegia alla prugna, ai quali si affiancano note di liquirizia e alloro. Dal sapore fruttato e pieno, con l’invecchiamento diventa velluto al palato e ben si abbina alla robusta cucina locale. Ne esiste anche una variante da meditazione, una DOCG chiamata “dolce naturale”, ideale per accompagnare la ricca pasticceria pugliese a base di pasta di mandorle o cioccolato. Curiosità: il nome di quest’uva, la più diffusa nella parte centrale della regione, è dovuto non tanto alla sua età quanto al fatto che matura in anticipo rispetto a altre varietà.

Il Negroamaro è un’uva versatile, utilizzata anche per la vinificazione in rosato, sul cui nome tutt’oggi si dibatte: c’è chi dice che sia la ripetizione della parola “nero” in latino e in greco (niger e mavro, rispettivamente), mentre secondo altri indicherebbe il colore scuro degli acini e il sapore del vino, neanche a dirlo, amaro. Il Negroamaro è un vitigno adattabile e molto robusto, per questo la produzione è sempre ottima e abbondante. Nasce così un vino dal colore rubino tendente al granato, con riflessi quasi neri. Il profumo è fruttato e intenso e richiama le assolate terre del Salento, mentre in bocca è pieno, asciutto, rotondo e leggermente amarognolo. Si accompagna idealmente con i piatti della tradizione salentina, all’onnipresente sugo che condisce paste, polpette e carne di cavallo, ma anche all’agnello alla brace e agli involtini di interiora, gli gnomerelli.

Il Nero di Troia

Tra i vini tipici pugliesi, la cui produzione ricordiamo è prevalentemente di rosso e copre l’80% della superficie vitata, c’è il Nero di Troia. È la terza varietà autoctona per ettari vitati e per importanza commerciale insieme a Primitivo e Negroamaro. Vitigno autoctono pugliese, deve il suo nome al legame con la cittadina di Troia, piccolo paese in provincia di Foggia, e al colore rubino intenso, quasi nero appunto. Al naso offre profumi ampi e armonici, di frutta rossa, prugna, more, note di liquirizia e spezie, mentre al palato è caldo, fruttato e speziato, dotato di grande corpo che ben si adatta ad arrosti, carni alla brace e cacciagione.

Vini bianchi pugliesi: approfondiamo

Nonostante la predominanza di rossi, la Puglia offre anche un panorama di altri vini altrettanto celebri: vi rimandiamo al nostro blog sul vino rosato per scoprire i tesori di questa categoria, mentre oggi vogliamo parlare dei vini bianchi pugliesi. I più diffusi sono senz’altro il Locorotondo e il vino di Martina Franca, esportati anche nel nord Italia dove venivano utilizzati per la produzione di vermouth.

Il Locorotondo, originario delle province di Bari e Barletta, è un bianco fermo dal colore paglierino chiaro, con una bassa gradazione alcolica (meno di 12°). Dal profumo delicato e dal sapore asciutto e secco, si abbina bene con piatti di pesce alla griglia e primi conditi con frutti di mare. Il Martina Franca è un vino DOC che andrebbe consumato entro l’anno dalla vinificazione. Possibilmente ancora più asciutto e meno alcolico del Locorotondo, è prodotto nelle province di Bari, Brindisi e Taranto, ha un colore verdolino chiaro, dal profumo vinoso, adatto anch’esso agli antipasti di pesce. Ne esiste anche una tipologia spumantizzata dal profumo fragrante e complesso e dal sapore fresco, sapido e armonico che, servita tra i 6° e gli 8°, è ideale come aperitivo.

Per concludere, una rapida carrellata sugli altri bianchi pugliesi famosi:

  • Salice Salentino Bianco

Ottenuto da uve Chardonnay, con l’aggiunta di un 30% massimo di altre uve di zona, è un bianco dal profumo delicato e dal sapore vivace e caratteristico, ideale da abbinare al pesce.

  • Pinot Bianco Salice Salentino

Prodotto con le uve omonime e un eventuale aggiunta di Chardonnay e Sauvignon, ha un caratteristico odore fruttato e un gusto vellutato. Si addice ai piatti di pesce e ne esiste anche una versione spumantizzata.

  • Bombino bianco di Castel del Monte

Dal colore paglierino e dal profumo fruttato, ha un gusto asciutto e un basso tenore alcolico che lo rendono ideale come aperitivo. Anche di questo vino ne esiste una tipologia frizzante.

  • Gravina

Prodotto nei comuni di Gravina, Poggiorsini, Altamura e Spinazzola, è ottenuto principalmente con uve Malvasia del Chianti, Greco di Tufo e Bianco d’Alessano. Fresco e sapido, è un vino da pesce nella versione secca e da fine pasto se amabile. Si produce anche in versione spumante.

  • Moscato di Trani

Squisito vino dolce naturale dal robusto tenore alcolico (14,5°), di colore dorato e dal profumo intenso, è un vino vellutato da dessert che deve affinare almeno cinque mesi. Ne esiste anche una tipologia liquorosa, altamente alcolica (18°) che prevede un invecchiamento obbligatorio di un anno ed è considerato un vino da meditazione.

 

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