Il ventilato lungomare della riviera adriatica. L’afosa campagna salentina. L’elegante dehor di un’antica piazza. Un bosco di pini marittimi nella balsamica macchia mediterranea. Tutti luoghi dove un bicchiere di vino rosato, appannato dalla condensa, regala indimenticabili sorsi d’estate.

La storia del vino rosato, rispetto a quella dei colleghi bianco e rosso, è molto più recente. Secondo una corrente di pensiero più votata alla leggenda, nasce per caso in un villaggio della zona di Verona nel quale il curato, vistesi diminuire le offerte dei fedeli, trafugò del vino dalla cantina sociale per usarlo durante la messa. Le vinacce erano però rimaste a contatto con il mosto solo poche ore e il vino presentava quindi un colore rosato. Secondo gli studiosi invece, il vino rosato nasce in Francia: alla fine dell’Ottocento il senatore veneziano Pompeo Molmenti, che possedeva alcuni vigneti a Moniga del Garda, durante un viaggio oltralpe ne avrebbe apprezzato i rosati e approfondito i metodi produttivi. Tornato in Italia applicò la vinificazione in bianco alle uve tipiche del Garda (Groppello, Sangiovese, Barbera, Marzemino), creando di fatto una tipologia di rosato del tutto peculiare. I metodi produttivi si diffusero ben presto in tutta Italia, giungendo fino in Puglia dove, agli inizi del ‘900, l’azienda Leone De Castris iniziò a produrre e imbottigliare questa tipologia di vino con il nome di FiveRoses.

Qualsiasi sia la verità, in un mondo tradizionalista e conservatore come quello enologico, la giovane età dei rosati non è un punto a favore per la diffusione e il supporto. Considerando poi le caratteristiche gustative delicate e sbarazzine, come quelle del vino spumante rosé, che lo hanno etichettato come “vino da donna”, possiamo capire perché ha vissuto una sorta di ghettizzazione fino a poco tempo fa.

È stato solo negli ultimi anni infatti, che il vino rosato è stato rivalutato. Uscito dalla gabbia nella quale l’intransigenza del settore lo aveva ingiustamente relegato, oggi è un vino che vive una nuova vita e che, secondo gli esperti, esploderà anche in Italia nei prossimi cinque anni. Nel mercato europeo del rosato, dove Francia e Spagna si presentano aggressive più che mai, l’Italia sta rafforzando i propri metodi promozionali e comunicativi per diffonderne la produzione e il consumo.

Oltre alla Puglia, determinata a guidare la “carica del rosato”, tutte le regioni italiane hanno almeno un rosato nella propria produzione. Basta ricordare il Chiaretto del Garda, alle cui radici abbiamo accennato, o al Cerasuolo abruzzese e marchigiano, prodotto con uve Montepulciano. Ma anche la Liguria con il raro vitigno Vermentino nero, la Sardegna con i suoi tagli delle più tradizionali varietà della zona (Cannonau, Pascale, Malaga e Monica) e la Sicilia, che produce rosati con vigne cresciute in riva al mare, dove la brezza conferisce al vino una sapidità tutta particolare.

Come si fa il vino rosé

Escludendo alcuni Franciacorta e gli Champagne rosé, la cui cuvée di partenza è una miscela di uvaggi bianchi e rossi, il vino rosé non si produce miscelando vino bianco e vino rosso, ma seguendo un procedimento divinificazione in bianco, dove il mostoresta a contatto con le bucce per un periodo più o meno prolungato.

Il ciclo vitale del vino rosato inizia generalmente durante la prima settimana di settembre, quando le uve hanno ancora una buona acidità e il giusto tenore di zuccheri. Ma attenzione: parliamo di uve a bacca rossa, le stesse utilizzate per la produzione del vino rosso. Dopo aver eliminato i raspi, avvengonola pigiatura e la macerazione a contatto con le bucce, le quali conferiscono al prodotto tannini (pochissimi), aromi, polifenoli e il caratteristico colore. È proprio qui che avviene la magia: rispetto alla produzione del vino rosso, il contatto con le bucce dura molto meno, da poche ore a due giorni, a seconda del tipo di uva e del colore desiderati.

Infine, si segue lo stesso procedimento produttivo dei vini bianchi, cioè fermentazione in acciaio e cemento, svinatura e imbottigliamento.Data la suanatura delicata, il vino rosé,prono a perdere aromaticità e soprattutto acidità, non si adattaall’affinamento in bottiglia e dovrebbe essere consumato entro due anni dalla vendemmia. È proprio la sua acidità che, complice la bassa temperatura di servizio (10-12 C°), regala la freschezza tipica che lo contraddistingue.

Doppia eccezione del vino rosato

Per loro natura, i vini rosati non affinano in legno, anche se esistono alcune eccezioni, come il Vigna Mazzì, una IGT salentina prodotta da Rosa del Golfo con uve Negroamaro e una piccola percentuale di Malvasia nera. È questo un vino rosato ottenuto con un particolare metodo di vinificazione piuttosto raro detto “a lacrima”, nel quale le uve non vengono pigiate ma solo accumulate: schiacciati sotto il proprio peso, i grappoli rilasciano il proprio nettare goccia a goccia (da qui il nome della tecnica) ed è facile intuire come la resa uva/vino sia per questo limitata – si parla di un 50/55%. Il Vigna Mazzì resta poi per un breve periodo a contatto con legno di rovere bianco che gli conferisce delle piacevoli note tostate. Un’altra eccezione è il toscano Aurea Gran Rosé di Frescobaldi, la cui produzione prevede una fermentazione in tonneaux di rovere Francese. Al termine di questa fase viene quindi aggiunta una piccola selezione di Syrah vinificato in bianco della vendemmia precedente, affinato in barrique per 20 mesi. Si tratta di un vino delicato sin dall’aspetto, un rosa tenue con nuance dorate, che profuma di frutta fresca. Al palato risulta morbido, con sentori dolci e speziati, dotato di un’acidità elegante ben supportata da una leggera mineralità.

Quanti vini rosé

I vini rosati possono essere divisi in diverse categorie a seconda del tipo e dei tempi di macerazione:

Vini di un giorno: la macerazione del mosto a contatto con le bucce dura attorno alle 24 ore.

Vini di una notte: la macerazione in questo caso dura per circa 6/12 ore.

Vin gris (vino grigio): vino dal colore rosa tenue, ottenuto da uve poco pigmentate. Il colore viene rilasciato durante la pigiatura, e la macerazione del mosto a contatto con le bucce non viene effettuata.

Saignée (salasso): durante la macerazione, una parte del mosto viene prelevata (fino al 20-30%, da qui il nome) per permettere una maggior concentrazione di fenoli, colore e sapore. Il mosto prelevato viene poi vinificato in bianco.

Vino rosato: gli abbinamenti

Per quanto possa sembrare semplicistica come spiegazione, è pur vero che un vino rosato, cromaticamente e filosoficamente a metà tra un bianco e un rosso, sia la scelta giusta in caso di indecisione. Quante volte, nelle calde giornate estive, ci siamo trovati in dubbio di fronte alla bottiglia da stappare a fronte di un particolare menu? Se la verità sta nel mezzo, ecco che il rosé si presenta come jolly.

La parola d’ordine è freschezza. La temperatura di servizio ideale dei rosati è relativamente bassa, simile a quella dei vini bianchi e quindi perfetta per gli abbinamenti con piatti estivi: ricche insalate, paste fredde e verdure, ma anche antipasti di pesce e carni bianche. La gradevole acidità del rosato si sposa bene anche con primi piatti a base di salsa di pomodoro e paste ripiene, e la maggior robustezza rispetto a un bianco lo rende adatto a zuppe di pesce e pesce arrosto. Il vino rosato trova anche un suo spazio nell’abbinamento con i funghi e i formaggi, a patto che siano freschi e non stagionati. Infine, proponiamo due alternative anomale, coraggiose: il tartufo, piacevole enigma che tutt’oggi divide gli appassionati di enogastronomia ma che ha delle evidenti limitazioni stagionali, e la pizza, regina delle notti estive e sempre più protagonista delle nostre tavole nelle versioni gourmet.