“Secondo il Regolamento 787/19 dell’Unione Europea, il termine ‘grappa‘ è un’indicazione geografica protetta del solo stato membro Italia (cioè non è un termine generico ma è una denominazione tutelata): ne discende che nessun altro paese può usare questa designazione.”
Cosa ci dice questa definizione? Al di là dei termini legislativi, questa frase implica che la grappa è un prodotto unicamente e totalmente italiano. Più del vino, più della pizza e degli spaghetti: la grappa si fa solo qui e nessun altro distillato alcolico del mondo, per quanto simile in termini produttivi e di gusto, ammesso che esista, può fregiarsi di questo nome.
L’origine del termine
A questo proposito, “grappa” deriva dal termine lombardo grapa, con cui si definisce il raspo, declinato poi nelle diverse varianti regionali. Trasparente, bianca o ambrata, forte, diretta, onesta: per lunghi anni, la grappa è stata poco più di supporto, fisico e morale, per contadini e montagnini del Nord Italia, snobbata dai consumatori più eleganti e, forse per questo, praticamente ignota all’estero.
Una curiosità: una busta di “liquore cordiale” si trovava nelle razioni K assegnate ai soldati dell’Esercito Italiano fino a pochi anni fa!
Oltre la denominazione di Grappa che si estende a tutto il territorio nazionale, nel 1989 la Comunità Europea ha sancito 9 Indicazioni Geografiche Tipiche (IGT) provenienti dalle seguenti regioni e sottozone:
- Piemonte (e sottozona di Barolo)
- Lombardia
- Trentino
- Alto Adige
- Veneto
- Friuli
- Sicilia (e sottozona di Marsala)
Per la precisione, la Sicilia e Marsala sono state aggiunte solo nel 2008, non senza suscitare qualche polemica visto il retaggio tutto settentrionale della grappa.
Origini e distillazione delle grappe
Come succede spesso, le origini della grappa sono avvolte dalla leggenda.
La più accreditata è quella di un legionario romano che, di ritorno dall’Egitto, dove aveva rubato un impianto di distillazione, aveva iniziato a produrre un distillato dalle vinacce di un vigneto friulano di cui era entrato in possesso. Un’altra vuole che i Burgundi, una tribù germanica, durante una permanenza in Friuli, avessero applicato le tecniche di distillazione del sidro alle vinacce, ottenendo quindi una versione primordiale di questa bevanda.
La grappa si ricava dalla distillazione delle vinacce, cioè le bucce dell’uva dopo la spremitura per fare il vino, che possono essere fermentate, nel cui caso contengono una percentuale alcolica perché hanno fermentato con il mosto del vino, o non fermentate, definite vergini. Durante il processo di fermentazione i microrganismi unicellulari, i lieviti, trasformano lo zucchero in alcol.
Le categorie di grappa
Una prima distinzione tra le categorie di grappe avviene proprio dalla materia prima: si definisce monovitigno una grappa ottenuta da una singola varietà di vinacce. Quando invece vengono usate vinacce di provenienze diverse, dove aromi e profumi sono più vari e meno monotematici, la grappa si definisce plurivitigno.
Durante il procedimento di distillazione vengono separate le parti volatili di un fermentato, che viene scaldato per permettere l’evaporazione dei vapori alcolici insieme agli aromi. Il raffreddamento di tali vapori produce un liquido ad alta gradazione alcolica, la grappa appunto.
Per legge, il contenuto alcolico non deve essere inferiore al 37,5% in volume o più alte nei casi di delle IGT.
Gli strumenti
Lo strumento che consente questa magica trasformazione è l’alambicco, che può operare a ciclo continuo, come avviene nella produzione industriale, o a ciclo discontinuo, come nel caso della produzione artigianale.
La grappa può essere destinata immediatamente al consumo (dopo la diluizione e filtrazione con varie tecniche più o meno sofisticate) e conservata in contenitori inerti (vetro o acciaio), nel qual caso è definita giovane, o invecchiata: in questo caso, per legge, deve riposare almeno un anno in botti di legno di qualsiasi tipo o dimensioni.
Sono invece grappe barricate quelle che riposano nelle barrique, la stessa tipologia di piccole botti di rovere (non superiori ai 225 litri) in genere utilizzate anche per l’invecchiamento del vino che desidera il medesimo appellativo. Un’ulteriore conservazione che supera i 18 mesi garantisce invece la denominazione grappa invecchiata o grappa stravecchia.
Infine, se vengono aggiunti aromatizzanti naturali come erbe, radici o frutti, si definisce grappa aromatizzata. Attenzione a non confonderla con la denominazione aromatica, quando cioè le uve di origine sono uve aromatiche come Brachetto, Malvasia, Moscato o Traminer aromatico.
La degustazione della grappa
A dispetto della sua origine contadina, la grappa oggi viene degustata come i grandi distillati, cioè con bicchieri appropriati e condizioni ben precise e ricercate. Tipicamente, viene usato un bicchiere detto tulipe, dal fondo svasato che va a restringersi salendo.
Infine, la temperatura di servizio dipende dal grado di invecchiamento della grappa: se le più giovani si accontentano di 8-10°, le grappe a medio invecchiamento si servono a 15°, fino ad arrivare ai 18° delle stravecchie.
Per sua natura, la grappa è un prodotto forte, “ruvido”, maschio, come testimoniato dall’alta gradazione alcolica e dalle sue origini contadine. Ciò nonostante, l’amore e la passione dei mastri distillatori, oltre a un prodotto di base di alta qualità, hanno consentito di ottenere un prodotto sempre più raffinato e ricercato, come nel caso delle grappe pregiate.
Oggi, alla richiesta di “una grappa, per favore”, ormai segue sempre la domanda “secca o morbida?”. Nel caso della grappa secca, ci verrà servita una grappa da manuale, tecnica per gli appassionati più esigenti.
Nel caso della grappa morbida invece, si apre un mondo fatto di aromi avvolgenti e sapori vellutati ma adatti anche a palati meno… allenati.
Il catalogo di Agenxia vanta oggi un’azienda trentina che ha una tradizione centenaria familiare alle spalle per la produzione di grappa: stiamo parlando di Villa De Varda, titolare anche di un metodo di produzione di questo distillato brevettato e specifico.